Diritto all’oblio nel mondo: il caso di Herval Abreu in Spagna
14 Giugno 2022
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Il 3 gennaio la Suprema Corte ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Santiago che ha deciso di respingere il ricorso di tutela presentato dall’ex regista televisivo, con il quale ha cercato di eliminare dai motori di ricerca tutti i link di accesso alle notizie legate alle accuse di abusi in cui è stato coinvolto nel 2018. Google perde di nuovo nella materia del diritto all’oblio, ossia il diritto ad essere dimenticati dal web.
Il caso di Herval Abreu
Il 19 febbraio di quell’anno Abreu intentava un’azione legale contro Google, Microsoft, Verizon e Wikipedia, chiedendo la rimozione di tutti i link di accesso dai loro motori di ricerca.
Tuttavia, la Corte d’Appello di Santiago ha concluso che “il cosiddetto diritto all’oblio non è sancito dalla nostra legislazione e i motori di ricerca di Internet non sono responsabili dei dati creati dagli utenti, ma la loro funzione è limitata all’indicizzazione delle informazioni, che è creato da terzi sotto la tutela della libertà di opinione e di informazione garantita dall’articolo 19 n. 12 della Carta Fondamentale, con i limiti e le responsabilità ivi stabiliti”.
La sentenza, in particolare, sosteneva che non vi era stata una effettiva violazione dei principi costituzionali in tema di diritto all’oblio, in quanto per aversi una reale omissione o azione arbitraria e illegale è necessario che le informazioni indicizzate risultino non veritiere o obsolete, cosa che non accade nel caso di Abreu.
Il signor Herval Abreu asseriva che in realtà l’articolo contestato aveva un contenuto non di interesse pubblico che ne giustificava la pubblicazione, ma che al contrario erano dannosi e umilianti per la propria dignità.
Il pensiero dei media
Il 10 maggio 2021, l’allora responsabile degli Affari legali della Televisión Nacional de Chile, Hernán Triviño, ha risposto alla dichiarazione e ha chiesto il rigetto del ricorso di protezione, sostenendo che “l’attività di un canale televisivo, così come i portali in cui vengono erogate le informazioni prodotte, non possono costituire, in ogni caso, una violazione dei diritti del ricorrente“.
Alla richiesta ha risposto anche Luis Asenjo, economista e direttore generale della Società cilena di comunicazioni, direttore responsabile di un quotidiano elettronico, il quale ha affermato che “fingere di eliminare parte di quanto pubblicato e salvato significherebbe ignorare l’obiettivo del diritto di accesso alle informazioni detenuto dal legislatore. In breve, le informazioni non sarebbero complete, ma invece, cercando di dimenticarle, sarebbero parziali e incomplete“.
Megamedia ha spiegato alla Suprema Corte che “i fatti riportati non perdono di tempestività né di rilevanza informativa o giornalistica per il solo fatto che una decisione giudiziaria ha stabilito che non costituiscono reato, che non sono esistiti , o perché c’è stato un licenziamento definitivo. La rilevanza o interesse pubblico è seguita e determinata da altri parametri”.
Nella sua presentazione, l’avvocato Ernesto Pacheco, in rappresentanza della televisione privata, ha aggiunto che “non è accettabile e viola la libertà di informazione tentare di distruggere le informazioni esistenti, per il solo motivo che è stato accertato che il presunto autore di alcuni presunti reati atti sono stati respinti, sotto la tutela di un preteso diritto all’oblio, o diritto di cancellazione o altro”.