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Eliminare notizie dal web: leggi questi provvedimenti

Eliminare notizie web provvedimenti

Photo by Fabian Irsara

Il diritto all’oblio è quel diritto riconosciuto ai cittadini grazie al quale è possibile eliminare notizie da Internet. Al fine di poter esercitare tale diritto è necessario presentare una richiesta al motore di ricerca e, in caso di rifiuto, è possibile presentare ricorso al Garante Privacy. Quest’ultimo, qualora vi siano i presupposti, provvederà a ribaltare la situazione ordinando al motore di ricerca di deindicizzare i contenuti oggetto del reclamo.

I provvedimenti del Garante Privacy in tema di diritto all’oblio Google

Nell’articolo di oggi analizzeremo alcuni recenti provvedimenti del Garante Privacy.

Provvedimento del 9 novembre 2017

Nel provvedimento del 9 novembre 2017, una cittadina ha richiesto la rimozione di 3 URL collegati ad una vicenda giudiziaria che l’ha vista contrapposta ad una società presso la quale aveva prestato la propria attività lavorativa e reperibili attraverso Google digitando il suo nominativo. Secondo Google, non è stato possibile accogliere la richiesta di diritto all’oblio in quanto i primi due link sono stati pubblicati da un ente statale statunitense mentre, il terzo link, non viene visualizzato dai risultati di ricerca.

Secondo la ricorrente, non sussistono motivi di pubblico interesse alla conoscibilità della notizia relativa al coinvolgimento della medesima nella predetta causa, tenuto peraltro conto del fatto che la diffusione di tali informazioni pregiudica il buon esito della ricerca di un nuovo posto di lavoro presso aziende italiane.

Il Garante Privacy, analizzando la richiesta, ha rilevato che la vicenda da cui traggono origine risulta riconducibile ad una controversia di lavoro tra privati peraltro connessa ad aspetti particolarmente delicati della vita intima della ricorrente, la quale non riveste alcun ruolo pubblico. Per questo motivo il reclamo è stato ritenuto fondato.

Provvedimento del 20 luglio 2017

Nel provvedimento del 20 luglio 2017, una donna ha chiesto a Google di eliminare dei link rinvenibili sul motore di ricerca Google mediante l’inserimento di chiavi di ricerca composte a partire dal proprio nome e cognome in quanto collegati a siti per adulti contenenti, appunto, il suo nominativo. Inoltre, è stata richiesta al motore di ricerca la liquidazione di tutte le spese del procedimento.

Secondo la reclamante, la diffusione dei suoi dati personali sarebbe illecita, non sussistendo alcun collegamento fra tali siti e l’attività da lei svolta nel settore della comunicazione per organizzazioni no profit.

Google, in base a quanto comunicato dalla reclamante, ha dichiarato di aver rimosso tutte le URL. Per quanto riguarda la liquidazione delle spese, il Garante Privacy ha stabilito che: “l’ammontare delle spese del presente procedimento nella misura forfettaria di euro 500,00, di cui euro 200,00 da addebitarsi al titolare del trattamento, che dovrà liquidare direttamente a favore della ricorrente“.

Provvedimento del 24 novembre 2016

Nel provvedimento del 24 novembre 2016, un cittadino ha chiesto di eliminare notizie da Google in relazione ad una vicenda che lo vedeva coinvolto per i reati di estorsione, usura  e truffa”, commessi attraverso elevate richieste di denaro rivolte a coloro che avevano superato, anche solo di pochi minuti, l’orario di sosta indicato sul tagliando esposto all’interno dell’automobile. Il reclamante ha specificato, inoltre, di aver intrapreso un’azione legale nei confronti della testata giornalistica che ha pubblicato la falsa vicenda.

Secondo Google, non è possibile accogliere le richieste di rimozione in quanto, essendo dirette all’eliminazione integrale dalla rete internet di informazioni diffamatorie o giornalisticamente non verificate, risultano incompatibili con quanto stabilito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in merito al diritto all’oblio.

Il 24 novembre 2016, attraverso un provvedimento, il Garante Privacy ha rilevato che la vicenda risulta pregiudizievole per l’interessato, in quanto effettuata mediante l’utilizzo di una parola idonea ad ingenerare nell’utente della rete il sospetto che il ricorrente sia stato comunque coinvolto in attività illecite. Per tale motivazione, il reclamo è stato ritenuto fondato.

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