La cancellazione di notizie da Google richiede un bilanciamento tra l’interesse alla riservatezza e il diritto all’informazione del singolo. È un tema molto attuale e dibattuto su cui si è espressa da ultimo la Corte di Cassazione con sentenza n. 3952 del 1° dicembre 2021 (depositata l’8 febbraio 2022).
La vicenda oggetto della Cassazione
In data 22 aprile 2015, un utente avanzava richiesta a due gestori di un motore di ricerca una richiesta fondata sul diritto all’oblio, di rimozione dai risultati delle ricerche effettuate con detto motore delle notizie che collegavano il nome dell’interessato a una vicenda giudiziaria risalente nel tempo.
I gestori, tuttavia, si rifiutavano e l’interessato ricorreva all’Autorità Garante della Privacy, che accoglieva il ricorso e intimava la rimozione degli URL contestati e la cancellazione delle copie cache dalle pagine accessibili tramite detti URL.
La vicenda non si concludeva in quanto la società si rivolgeva al Tribunale di Milano, impugnando il provvedimento del Garante. I giudici però rigettavano il ricorso, che veniva impugnato innanzi al Supremo Consesso.
La decisione della Cassazione sulla cancellazione di informazioni personali
Il giudice di legittimità ha posto la propria attenzione soprattutto sul concetto e sulla ratio della cosiddetta deindicizzazione, ossia il rimedio atto ad evitare che il nome di una persona sia associato dal motore di ricerca a fatti di cui internet continua a conservare memoria.
La Corte statuisce che Google non sia tenuto a predisporre un sistema di filtraggio dei dati che transitano nei propri servizi, essendo la stessa comprensiva di quella particolare attività atta a memorizzare in modo automatico e temporaneo notizie al fine di rendere maggiormente efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta.
Da un punto di vista processuale, i Giudici del Supremo Consesso asseriscono che “l’indicazione dei contenuti di cui è domandata la rimozione è indispensabile in quanto è attraverso tale indicazione che è possibile individuare il petitum mediato della pretesa”.
La Cassazione conclude sostenendo nel caso delle copie cache, il sacrificio del diritto all’informazione non ha ad oggetto una notizia raggiungibile attraverso una ricerca condotta a partire dal nome della persona, ma, piuttosto, la notizia in sé considera (e, in quanto tale, raggiungibile attraverso ogni diversa chiave di ricerca).
Ne deriva che di bilanciamento deve essere ancora più stringente ed avere ad oggetto il diritto all’oblio dell’interessato, da un lato, e quello alla diffusione dell’informazione in sé considerata, dall’altro.Nel caso esaminato dalla Corte, avendo la stessa rilevato che il Tribunale di Milano (e il GarantePrivacy prima) aveva calibrato il proprio ragionamento sulla vicenda personale dell’interessato, ha rinviato la causa a detto Tribunale (in diversa composizione) al fine di applicare il summenzionato principio.